giovedì 27 luglio 2017

Le dinamiche motivazionali per il successo scolastico di Salvatore Sasso

La motivazione è la principale fonte che produce interesse e partecipazione. La maggior parte degli studenti, infatti, percepisce la scuola come un peso ed una costrizione per immagazzinare una serie di informazioni senza comprenderne l'utilità per la propria vita.
La motivazione, negli insegnanti e negli studenti, si realizza in un rapporto circolare di interdipendenza emotiva e relazionale, consentendo di fare esperienze ed ampliare i propri orizzonti, e allo stesso tempo acquisire abilità che consentano di formulare ipotesi e percorsi.
Dopo la percezione dei propri bisogni nasce la necessità di soddisfarli, attraverso l'assimilazione delle nuove esperienze all'interno della propria mappa cognitiva. La motivazione all'interesse e alla partecipazione può essere indotta dall'insegnante in due modi:
1) presentando in modo gradevole le proprie lezioni;
2) cercando di rispondere al bisogno di apprendimento e di autorealizzazione di ogni alunno che concretizza la sua naturale esigenza di conoscere la realtà attraverso le esperienze.
La risposta dell'insegnante, nel primo caso, è quella di saper trasmettere il sapere, il che è necessario, ma comporta una impostazione didattica unidirezionale in cui gli alunni sono l'oggetto dell'azione, e devono, quindi, essere silenziosi e attenti. L'interesse, in questo caso, è indotto e svaluta la conoscenza in quanto non se ne percepisce l'utilità in relazione alle proprie esigenze. L'aspettativa che ne deriva è il voto, la lode. Se non si ottiene, gli alunni si sentono in balìa delle materie in cui non riescono, degli insegnanti “antipatici” e, poiché, avvertono di non poter esercitare un controllo su queste variabili, provano sofferenza per i risultati poco soddisfacenti, impotenza, rassegnazione.
Nel secondo caso, la scuola diventa il luogo dove si presenta l'opportunità di imparare e crescere insieme, l'insegnante non impone un sapere precostituito, ma utilizza la sua preparazione specifica per comunicarne il valore e l'importanza attraverso le esperienze degli alunni, che si sentono spinti a chiarirle, esprimendole e ampliandole. Le esperienze, e le conoscenze diventano così un'opportunità per acquisire competenze. In questo caso, l'insegnante diventa una risorsa, una guida, un sostegno per la loro realizzazione, ma soltanto attraverso la conoscenza delle problematiche interne dell'alunno, utilizzando la capacità di mettersi in ascolto e di comunicare in modo efficace.
Nel contesto scolastico, diverse dinamiche motivazionali interagiscono per determinare il successo o l’insuccesso degli studenti. Alcune fanno leva su fattori esterni, quando lo studente si impegna in un’attività per ottenere ricompense, vantaggi e riconoscimenti, per evitare conseguenze sgradevoli, per conformarsi a modelli di comportamento consoni all'ambiente in cui si trova; altre, invece, si basano sull'esistenza di bisogni fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione di cui parlava Maslow nella sua Teoria dei bisogni. Rispetto alle altre teorie psicologiche, quella di Maslow si basa sull’osservazione di individui sani e cerca di trovare i metodi preventivi per non entrare nella malattia mentale ma anzi per permettere alle persone di raggiungere il pieno sviluppo delle proprie potenzialità sfruttando al massimo capacità e talenti. Egli considera la natura umana fondamentalmente "buona" e ritiene che il "male" emerge nei momenti di frustrazione dell’uomo, nei momenti in cui non sia riuscito a soddisfare i suoi bisogni. Tale concezione ha profonde implicazioni pedagogiche e porta a rivedere il tipo di "metodo educativo" utilizzato nell’educazione dei bambini. Secondo lo psicologo americano, un ambiente favorevole è il requisito fondamentale affinché un bambino possa sviluppare tutte le sue potenzialità, ambiente inteso soprattutto come contesto in cui si sviluppano relazioni positive con gli altri e affinché vengano soddisfatti i bisogni di appartenenza e d’affetto. Dal punto di vista dello sviluppo infantile, si possono individuare diversi tipi di bisogni, dedotti da un’attenta osservazione del comportamento dei bambini. La soddisfazione di tali bisogni costituisce la motivazione ad agire di tutte le persone, quindi richiede energie sia fisiche che psicologiche.

Distinguiamo:
Bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo sono i bisogni fondamentali connessi con la sopravvivenza;
Bisogni di sicurezza: devono garantire all'individuo protezione e tranquillità. L’ambiente dovrebbe presentare una certa stabilità in modo da permettere al bambino di riconoscerne gli elementi e di trovare una collocazione rispetto ad essi. In questo modo si sentirà sicuro perché inserito in un ambiente stabile.
Bisogno di appartenenza: consiste nella necessità di sentirsi parte di un gruppo, di essere amato, di amare e di cooperare con altri;
Bisogno di stima: riguarda il bisogno di essere rispettato, apprezzato ed approvato, di sentirti competente e produttivo; ci sono dei presupposti senza i quali l’insegnamento si rivela insensato: fondamentale tra questi fattori è, ad esempio, l’autostima. È importante condurre gli allievi a riflettere su se stessi, sulle proprie qualità e difficoltà al fine di costruire un’immagine positiva di se stessi. La letteratura psicologica ci spiega come questo possa essere di vitale importanza soprattutto in periodi critici dello sviluppo di una persona quali l’adolescenza.
L’autostima, insieme ai bisogni fondamentali di un bambino, risulta, inoltre, essere il motore principale di qualsiasi tipo di apprendimento.
Bisogno di autorealizzazione: inteso come l’esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo.

 

A questi cinque bisogni, se ne deve aggiungere un sesto la cui soddisfazione è un requisito fondamentale per un sano sviluppo, del bambino prima, e del ragazzo poi. Anche se non inserito in nessuna teoria compiuta, esso è unanimemente riconosciuto da tutti coloro che si occupano di psicologia dello sviluppo: il bisogno di autonomia. Più il bambino potrà avvalersi della sua autonomia, tanto più le sue attività contribuiranno allo sviluppo delle azioni e delle relazioni. Queste ultime saranno vissute in modo più significativo se il bambino le sperimenta da solo, agendo in autonomia e responsabilità. Gli atteggiamenti iperprotettivi e possessivi da parte dei genitori provocano reazioni contrastanti nel bambino, soprattutto se gli viene impedita, a causa di convinzioni spesso errate e pregiudiziali, l’attività spontanea.
Secondo White (1959), gli esseri umani hanno un bisogno intrinseco di sentirsi competenti nelle loro interazioni con l'ambiente fisico, sociale e cognitivo, di saperle padroneggiare sempre più, di produrre effetti interessanti e nuovi (motivazione alla competenza, o di padronanza, o di effectance). White, studiando tale motivazione soprattutto nei bambini piccoli, ha sottolineato come essa si manifesti in un'attività di interazione ludica con l'ambiente, di esplorazione e di sperimentazione; tali attività danno a chi le intraprende un senso di efficacia, di padronanza e di soddisfazione intrinseca, privo di ansia o timore di fallire.
Nella prospettiva cognitivista, la motivazione viene descritta come un pattern organizzato di quattro funzioni psicologiche che servono a dirigere, attivare e regolare l'attività di una persona rivolta a raggiungere un obiettivo:
- le concezioni riguardo ai propri obiettivi personali;
- le convinzioni circa la propria capacità di agire per raggiungere tali obiettivi;
- le interpretazioni che si danno del risultato delle proprie azioni rivolte a conseguire l’obiettivo, attribuendolo a una particolare causa;
- il ruolo dei processi emozionali e affettivi connessi con tali funzioni.
Harter (1979, 1981) ha ripreso il costrutto di motivazione di competenza proposto da White, e ne ha riproposto una riformulazione e un approfondimento che tengano conto anche della nuove linee di ricerca ispirate al cognitivismo. Nel suo modello, l’autrice studia il significato emozionale e motivazionale delle valutazioni e delle aspettative che l'individuo costruisce sulle proprie capacità di padroneggiare l'ambiente e i problemi che esso pone. In particolare, Harter ha studiato lo sviluppo della motivazione alla competenza di un bambino in tre aree - cognitiva, sociale, fisica - in rapporto:
- alla difficoltà dei tentativi di padronanza (la massima gratificazione deriva da quei tentativi che presentano un grado ottimale di sfida, cioè di difficoltà per l'individuo);
- ai successi o agli insuccessi che incontra nei suoi tentativi indipendenti di padronanza e soprattutto al sostegno e al rinforzo o meno che ottiene al riguardo dall’ambiente;
- alla relazione tra il sostegno del bambino nei suoi tentativi di autonomia e lo sviluppo di un sistema di autoricompense e di obiettivi indipendenti, per non accentuare il suo bisogno di dipendenza;
- alla percezione di competenza e di controllo che il bambino sviluppa in seguito a tali esperienze positive o negative.
Tali auto-percezioni di competenza fanno aumentare la sua soddisfazione oppure la sua ansia di fronte ai tentativi di padronanza e influiscono sulla sua motivazione alla competenza.
Alcuni risultati di ricerche, compiute sulla base di questo modello con studenti dalla terza classe della scuola primaria alla prima della scuola secondaria di secondo grado dimostrano il nesso fra la percezione di competenza, le reazioni affettive e l’orientamento motivazionale: gli allievi che si percepiscono come più competenti si mostrano più intrinsecamente motivati.
Inoltre, i risultati dimostrano la progressiva diminuzione della motivazione intrinseca e il parallelo aumento di quella estrinseca: a partire dalla terza classe della scuola primaria, gli allievi mostrano un crescente disinteresse per i processi di apprendimento e di comprensione e una decisa attenzione alla valutazione del loro prodotto. Ciò comporta una diminuzione dell’auto-percezione di competenza soprattutto negli allievi meno abili, con conseguenti reazioni affettive negative.
Anche Deci e Ryan (1985, Intrinsic motivation and self-determination in human behavior, New York, Plenum Press) hanno trattato il concetto della motivazione intrinseca e lo hanno sviluppato nella teoria dell’autodeterminazione.
L’essere umano è visto come un organismo attivo che tende a realizzare le proprie capacità e a sviluppare armonicamente i vari aspetti della sua personalità, in un clima relazionale positivo, tuttavia tale tendenza deve interagire con l’ambiente che può ostacolarla o favorirla.
In ogni persona ci sono tre bisogni innati fondamentali:
1) bisogno di competenza (sentirsi efficaci nelle interazioni con l’ambiente e nell’esercitare ed esprimere le proprie capacità);
2) bisogno di autonomia (sentirsi in grado di compiere delle scelte, di impegnarsi in attività che nascono dalla propria volontà e non sono causate o imposte dalla volontà altrui);
3) bisogno di relazioni con gli altri (sentirsi integrati con gli altri, sentirsi appartenenti a un gruppo o una comunità, star bene con gli altri).
Se, quindi, il soggetto vive in un ambiente che promuove la sua autodeterminazione, in quanto gli consente di soddisfare i suoi bisogni fondamentali, mantiene ed accresce la sua motivazione e sviluppa un senso del sé unitario e integrato.
Un'altra dinamica motivazionale è il senso di efficacia (Bandura, 1977), che riguarda le convinzioni di una persona sulla propria capacità di affrontare con successo una prova specifica e di saper organizzare e gestire con successo le azioni richieste per raggiungere un obiettivo. Il senso di efficacia di una persona interagisce con i suoi comportamenti e con l’ambiente: ad esempio, egli è in grado di predire il successo scolastico.
L'attribuzione causale (Weiner 1990), cioè il bisogno di spiegare il proprio e l'altrui comportamento, individuando le cause che stanno alla base degli eventi, delle azioni e dei sentimenti, è alla base dei processi motivazionali appartenente a tutte le persone. Di interesse particolare sono stati gli studi sulle alle attribuzioni causali relative al successo e all’insuccesso scolastico: da tali ricerche è emerso che le cause fondamentali in base alle quali gli studenti spiegano il loro successo o insuccesso scolastico sono l’abilità, lo sforzo, la difficoltà del compito, la fortuna; altre cause sono poi l’umore degli alunni stessi, la loro eventuale stanchezza, gli episodi di malattia e, non ultimo, l’atteggiamento dell'insegnante.
Studi futuri, che si focalizzeranno su queste o altre dinamiche motivazionali, potranno ulteriormente delucidare sul ruolo dell’impegno nello sviluppo della resistenza e del successo scolastico dello studente nel lungo termine.



lunedì 24 luglio 2017

Executive functions and ADHD by Salvatore Sasso


If a child has a diagnosis of ADHD, or whether it is going for him an evaluation for ADHD, or even if as technicians are doing a study of the literature on the subject, you might encounter with a statement regarding the presence at the same time, problems with executive functioning. This can be confusing!
They seem to be two different ways to describe child difficulties.
In a nutshell, the executive functions are self-regulating abilities. All of us use every day in the execution of our actions as, for example, plan ahead, to be organized, the solve problems and focus on what is important. These are some of the skills that children with ADHD have difficulty putting into practice. So there is a difference between matters of executive functioning and ADHD? And if so, what is?
ADHD is a disorder that is defined by three major series of behaviors or symptoms: inattention, impulsivity and hyperactivity. Children with ADHD have difficulty in operationalizing, using the attention, following directions, sitting quietly and waiting for their turn.
The children diagnosed with ADHD, if they demonstrate these symptoms more often than other children their age, will have difficulty both at school and in life everyday.
The executive functions, on the other hand, are very specific ways through which the brain functions. This means that variables such as inattention and impulsivity are divided into more distinct skills that children usually develop during childhood and adolescence.


There are many individual features, which fit into these areas:
• Planning;
• The organization;
• The establishment of priorities;
• The transition between the situations or thoughts;
• The control of their emotions and 'impulsivity;
• L 'use of working memory;
• Monitoring towards themselves in being able to keep track of how you are working (level - meta ).
Scholars point out that the issues relating to executive functions can be seen in two different fields. In the first place, may be observed in the behavior of a child facing outside; secondly, they affect the inside of children, in the way they think and learn. Let's look at each of them separately analyzed:
a) Mode externalizing
• Being disorganized;
• Losing continually of its objects;
• Having difficulty in time management;
• Being unable to finish a task;
• Being unable to make a plan and put it into practice;
 

b) Conditions internalizing
• Owning the difficulty of deciding what is important / unimportant when reading or listening;
• Have problems in absorbing / retain what is taught at school;
• Have trouble understanding and following verbal directions ;
• Having trouble organizing thoughts;
• Having problems with writing clear and organized;
Many kids who have ADHD are not confronted with the difficulties arising from concerns with executive functions. But it is also possible that a child has problems with executive functioning without ADHD
( Brown, T., 2000, Attention deficit disorders and comorbidities in children, adolescents, and adults , Washington, DC: American Psychiatric Press)
How can this information help the child?
First, the understanding if the child has problems with executive functioning may make it easier to search for adequate help through a "support" more effective.
Secondly, experts in executive functioning have developed tests and questionnaires to measure how much  a child can  make good use of the specific functions. These measures allow them to identify where he needs more assistance. Knowing all this puts teachers can organize in class more focused aid.
It is also possible the intervention of a specialist of learning disabilities that can teach you how to compensate for areas of weakness. Children with impaired executive functioning often need to create routines and use special techniques to do tasks that other guys play without thinking. A detailed analysis also allows you to identify areas in which a child is stronger, so that he may learn to better use its strengths to compensate for the weaker ones.
In some cases, know more about the executive functions can also give a deeper understanding of the diagnosis of ADHD in a child. Indeed, the application of the concept of executive functioning just for ADHD can improve the treatment of each individual child, making the objectives of intervention even more specific through a better understanding and management of the strengths and weaknesses.
Regarding the use of medication in ADHD, research clearly shows that their use reduces symptoms of inattention and impulsivity, while a child is taking medication. Clinical experience also shows that many children with ADHD, despite taking medication, they still need to be supported to manage their problems of executive functioning. In this way, they can prove to be competent both at school and in other extracurricular areas.
With this extra support -insegnamento / learning of metacognitive strategies (see for example the Meta lab of #Cad Skole), children can outsource what they are capable do.


The development of executive functions in children
According to Welsh, Pennigton and Groisser (Welsh MC, Pennington BF, Groisser DB, 1991 A normative developmental study of executive function: A window on prefrontal function in children. Developmental Neuropsychology , 7: 131-149), executive functions evolve in three phases and their development would not be complete before puberty. In the first stage, up to six years, children reach performance levels equal to those of adults in visual search tasks and planning simple; in the second, up to eleven, they develop the ability to schedule more complex; while in the third, that is, from puberty onwards, develop skills verification, assumptions and control of perseveration and impulsiveness.
During the first six years of life the memory function and procedures are carried out in verbal form, so externalized. During the primary school, the self-directed speech is internalized and develop those skills level - half that allow self-monitoring and self-regulation of attentional processes and their motivations. Through the acquisition of these skills, children learn to finally break down the observed behaviors into their individual components and reassemble them into new shares, which are not part of its experience (reconstruction). This allows, in the course of growth, to control their own work for longer and longer periods of time and to plan their behavior in order to achieve the aim (Zuddas, A., G. Masi, 2002 Lines SINPIA guide ).

According to Stephanie Carlson (Carlson S. et al., The development of executive function in early childhood , Boston, Blackwell Publishing, 2003), the opportunity for the child in the first year of life to form categories of events and sequences, as well as to detect the predictive character of some relationships between events, the basic structure of behaviors that gradually become more targeted and monitored, so that, if the characteristic of children from one to three years is the lack of control of voluntary modulation and emotional, this capacity increases sharply preschool. The ability to control allows you to take advantage of the emotional scaffolding environment for the success in the tasks of problem solving and the ability of symbolization and the internal language are integrated simultaneously in executive development. The same Carlson states, in fact, that children of four to five years, which are capable of activating behavior inhibition in situations where they are required, are also skilled in the understanding of their and others' feelings as a guide in action.
Both levels, cognitive and emotional in the sense of self-regulation as the motivation, help to define the efficiency of executive skills.
Between two and four years of age is detected, in the prefrontal cortex, a significant increase in metabolic activity and synaptic connections. This development coincides with the increase in working memory, inhibitory control, the budgeting skills and social behaviors that are based on these traits. The neuronal density does not decrease up to seven years of age and it is during this period of maximum plasticity that the higher cognitive processes are particularly influenced by the experience (Barkley, RA, 1997  Defiant Children: A Clinician's Manual for Assessment and Parent Training , New York: Guilford Press (800-365-7006; info@guilford.com).
Among the tests suitable for the detection of Executive Functions are reports the BVN (Erickson, Italy - there is just a german version) in the two versions 5-11 (children) and 12-18 (boys). The BVN is a battery of tests for the neuropsychological assessment of the main cognitive functions (language, visual perception, memory, praxis, attention, executive functions above, reading, writing and arithmetic).

giovedì 20 luglio 2017

L'impegno e il disimpegno in classe fanno parte di una dinamica motivazionale più estesa?

L'impegno e il disimpegno in classe fanno parte di una dinamica motivazionale più estesa?
di Salvatore Sasso


In uno studio pubblicato sul Journal of Educational Psychology (2008, Vol. 100, No. 4, 765–781) dal titolo: “Engagement and Disaffection in the Classroom: Part of a Larger Motivational Dynamic?” e  realizzato da Ellen Skinner, Carrie Furrer, Gwen Marchand e Thomas Kindermann, viene affrontato, a livello di ricerca, un interrogativo: Impegno e disaffezione nella classe possono essere considerati come parte di una dinamica motivazionale più grande? Per trovare una valida risposta a tale quesito, è stato condotto uno studio su un campione di 805 studenti, appartenenti a classi di scuola primaria e scuola secondaria di primo grado (in America dalla quarta alla settima classe), utilizzando un modello di sviluppo motivazionale. Tale modello risulta efficace per guidare l’investigazione delle dinamiche interne non solo di quattro indicatori dell’impegno motivazionale e comportamentale, ma anche del grado di disaffezione, degli effetti facilitativi di sostegno da parte dell’insegnante e, infine, di tre indicatori propri degli studenti: competenza, autonomia e legame. È stato, inoltre, osservato il mutare di tali indicatori nel corso dell’anno scolastico.
In termini di dinamiche interne, si evince che le componenti emozionali dell’impegno hanno contribuito significativamente a cambiare quelle comportamentali. Il sostegno dell’insegnante e le auto-percezioni degli studenti - specialmente il loro senso di autonomia - hanno contribuito ai cambiamenti delle componenti comportamentali: ogni cosa “predetta” aumenta in impegni e diminuisce in disaffezione. Nello specifico il contributo dell’insegnante, ovvero il suo modo di insegnare, di porsi ecc., è addirittura mediato dalle auto-percezioni degli studenti. Tali osservazioni suggeriscono come sia necessaria una chiara distinzione tra gli indicatori e i facilitatori dell’impegno, in modo da comprendere l’articolazione delle dinamiche esistenti tra emozione e comportamento che si  verificano all’interno dell’impegno e le dinamiche motivazionali esterne all’impegno, quelle cioè che coinvolgono il contesto sociale, gli autosistemi, e l’impegno stesso.
1. La concettualizzazione dell’impegno/disimpegno
Negli ultimi dieci anni la, ricerca ha documentato un notevole declino dell’impegno degli studenti nell’istruzione (disciplina, interesse, entusiasmo e motivazione intrinseca per apprendimento scolastico) dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria di secondo grado, specialmente durante il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado e per bambini appartenenti a minoranze razziali, etniche o a gruppi di basso status socio-economico. Di grande interesse per i ricercatori sono le dinamiche che si esplicitano attraverso una sorta di circoli viziosi in cui tali dinamiche promuovono o indeboliscono la qualità dell’impegno degli studenti. In generale, queste dinamiche sembrano essere amplificate in quei bambini che cominciano con un alto grado di motivazione e mantengono il loro impegno con il progredire degli anni, mentre i bambini che partono meno motivati tendono a diventare perfino meno impegnati nel corso del tempo (Skinner, Kindermann, Connell, & Wellborn, 2008).
Alcune dinamiche coinvolgono risorse motivazionali personali come il controllo percepito; gli studenti che, per esempio, iniziano sicuri delle proprie capacità assumono compiti di apprendimento in modo tale da incrementare il proprio successo scolastico, rinforzando così il loro ottimismo. I bambini che, invece, hanno una bassa efficacia tendono a eludere provocazioni e qualsiasi forma di impegno in lavori scolastici, cementando così le loro perplessità iniziali.
Altre dinamiche coinvolgono gli insegnanti. Gli alunni, infatti, che si mostrano maggiormente impegnati ricevono successivamente maggiore attenzione da parte dell’insegnante, mentre è possibile che i bambini disaffezionati trovino che le insegnanti mettano in atto, nei loro riguardi, un sostegno minore oppure che li controllino in maggior misura.
È anche possibile che alcune di queste dinamiche siano interne all’impegno stesso. Se si possono diversificare tra loro molteplici component del fattore impegno, queste ultime possono dar vita ai loro circuiti di retroazione. Ad esempio, se gli alunni che sono annoiati possono esercitare meno sforzi e smettere di catturare l’attenzione dell’insegnante, in tal modo diventano perfino più annoiati con il trascorrere del tempo.
Nell’ambito del lavoro sulle dinamiche motivazionali, lo studio esaminato, prende in considerazione due punti chiave: 1) l’esplorazione delle dinamiche interne all’impegno, esaminando come le sue diverse componenti si formano reciprocamente nel corso del tempo; 2) l’esplorazione delle dinamiche motivazionali più grandi di cui l’impegno è una parte, esaminando come fattori personali e del contesto contribuiscano ai cambiamenti dell’impegno stesso.
Entrambe le componenti dell’impegno in classe e l’insieme dei facilitatori ipotizzati per promuoverli derivano da un modello motivazionale più grande, il modello di autosistema di sviluppo motivazionale (the self-system model of motivational development: SSMMD), che può essere usato per spiegare i processi interpersonali e psicologici attraverso cui l’impegno è promosso o meno nella classe (Connell & Wellborn, 1991; Deci & Ryan, 1985; Skinner & Wellborn, 1997).
Formulazioni concrete dell’impegno sono offerte da una varietà di approcci teorici e pratici, conducendo gli studiosi a concludere che esso sia una metastruttura che comprende molteplici stimoli di attrazione o coinvolgimento nella scuola (Fredricks et al.,2004). Ad ogni modo permangono alcuni dubbi in merito (Sinclair et al., 2003): il più grande riguarda la distinzione tra indicatori rispetto ai facilitatori dell’impegno.
Gli “indicatori” si riferiscono alle caratteristiche che fanno parte del concetto vero e proprio di impegno, mentre i “facilitatori” sono fattori causali (all’esterno del concetto) che, si ipotizza, influenzino l’impegno. Procediamo ad una loro distinzione: se, ad esempio, la concettualizzazione presuppone che il sostegno fornito dagli insegnanti faccia parte dell’impegno stesso, (cioè che sia un indicatore) in quanto opposto ad un fattore contestuale che contribuisce all’impegno (cioè un facilitatore), allora gli studi che associano queste caratteristiche in una metastruttura non possono mai analizzare come il sostegno dell’insegnante influenzi l’impegno dei bambini.
Per esaminare empiricamente come i potenziali antecedenti influenzano l’impegno, è necessario separare concettualmente gli indicatori dai facilitatori.
Il secondo problema, che richiede chiarificazione, mette al centro il numero e la natura delle componenti dell’impegno stesso: quanto dovrebbero essere distinte e se abbiano proprie dinamiche interne.
Occorrono definizioni più chiare, valutazioni più circoscritte e argomentazioni più esaustive per poter rispondere alle domande sulle componenti dell’impegno.
2. Gli indicatori dell’impegno in classe
In questo studio, si è utilizzata una concettualizzazione motivazionale dell’impegno, che si focalizza sulla partecipazione attiva dell’alunno in classe (Pierson &Connell, 1992; Ryan, 2000; Skinner et al., 1998; Wentzel, 1993).
L’assunto di base è che un buon apprendimento è il risultato di comportamenti ed emozioni, come dedizione,  determinazione, interesse e divertimento, che riflettono una reale motivazione allo studio.
La dimensione comportamentale dell’impegno include lo sforzo degli studenti, l’attenzione e la determinazione durante la didattica. La dimensione emotiva dell’impegno si focalizza invece su stati d’animo che sono pertinenti al coinvolgimento emotivo degli studenti durante le attività di apprendimento come entusiasmo, interesse e piacere (Meyer & Turner, 2002).
L’impegno combina, pertanto, le dimensioni comportamentali ed emotive del soggetto e poggia i suoi cardini su interazioni attive tra pari e tra alunni e insegnanti, orientate ad un obiettivo, flessibili, costruttive, persistenti, focalizzate, emozionalmente positive e in totale accordo con l’ambiente circostante (ovvero l’ambiente scolastico stesso, positivamente inteso).
In accordo con il SSMMD (modello di autosistema di sviluppo motivazionale), questo tipo di impegno si pensa possa essere un forte elemento che predice l’apprendimento dello studente, la sua qualità, il successo scolastico più in generale e si pone tra i deterrenti per l’abbandono scolastico (Connell, Halpern-Fisher, Clifford, Crichlow, Usinger, 1995; Connell et al., 1994; Skinner, Wellborn, Connell, 1990).
L’eventuale possibilità di un disimpegno che lo studente può manifestare sarà di conseguenza la messa in atto di reazioni e comportamenti che riflettono una condizione di malessere ben più profonda, dovuta ad un cattivo adattamento che include passività e abbandono della partecipazione alle attività didattiche mentre la sua componente emotiva, include noia, ansia e frustrazione.
È emerso, inoltre, come il disimpegno sia un forte elemento che predice voti bassi, punteggi bassi ai test di profitto, fino all’eventuale ritiro dalla scuola (Connell et al., 1994, 1995; Skinner et al., 1990).
Una recente ricerca ha suggerito che questi quattro indicatori dell’impegno da parte dello studente, ossia l’impegno comportamentale e emotivo e il disimpegno comportamentale ed emotivo, sono strutturalmente distinguibili (Furrer, Skinner, Marchand, Kindermann, 2006), mentre, secondo altre teorie, si ritiene che ognuna delle quattro componenti possa essere usata per comparare direttamente altri modelli strutturali che sottendono diverse componenti (figura 1).

 
 
 
IMPEGNO
 
DISAFFEZIONE
 
Comportamento
 
Impegno comportamentale
Promozione di azione
Sforzo, applicazione
Tentativi, persistenza
Intensità
Attenzione, concentrazione
Assorbimento
coinvolgimento
Disaffezione comportamentale
Passività
Rinuncia
Ritiro
Disattento
Distratto
Disimpegnato mentalmente
Impreparato
Disaffezione emotiva
Noia
Disinteresse
Frustrazione, rabbia
Tristezza
Preoccupazione, ansia
Vergogna
Autobiasimo
Emozione
 
Impegno emotivo
Entusiasmo
Interesse
Godimento
Soddisfazione
Orgoglio
Vigore
Piacere
Disaffezione emotiva
Noia
Disinteresse
Frustrazione, rabbia
Tristezza
Preoccupazione, ansia
Vergogna
Autobiasimo

Sebbene le componenti siano strettamente legate, un modello a quattro fattori mostra significativamente un migliore adattamento ai dati di relazione sia dell’insegnante sia degli studenti rispetto ai modelli a un fattore o a due (per esempio questa è l’opinione di Ellen Skinner, Carrie Furrer, Gwen Marchand e Thomas Kindermann) ed è sulla base di questo modello che si fonda il primo contributo di questo studio, ovvero quello di esaminare le dinamiche interne all’impegno, cioè come le componenti dell’impegno si influenzino reciprocamente.
Si teorizza che non siano presenti dinamiche interne, in quanto l’impegno comportamentale ed emotivo nella classe sono strettamente accomunati e perlopiù stabili, e che siano formati alla stessa maniera da fattori esterni, senza influenzarsi l’un l’altro.
Quando, invece, si parla di dinamiche interne si presuppone però che i comportamenti degli alunni siano fortemente influenzati dalle emozioni. Per esempio, la teoria dell’autodeterminazione (Deci & Ryan, 1985) e la teoria della motivazione alla competenza (Harter, 1978) suggeriscono che, alla base dello sforzo e della determinazione dell’alunno, ci siano i “motori emotivi” dell’interesse e dell’entusiasmo del soggetto stesso; così come tutt’altro genere di emozioni starebbero alla base di un reale insuccesso scolastico (Finn, Pannozzo, & Voelkl, 1995; Roeser, Strobel, & Quihuis, 2002).
3. I facilitatori dell’impegno/disimpegno nella classe
Altro obiettivo dello studio preso in esame è quello di valutare i processi attraverso i quali siano gestite le dinamiche dell’impegno, processi influenzati tanto da variabili soggettive quanto dal contesto.
L’ipotesi sostenuta è che se l’alunno ha la percezione di trovarsi in un ambiente (quello della classe) positivo, dove cioè si sente adeguatamente sostenuto, allora il suo stesso impegno ne risentirà altrettanto positivamente, viceversa il contrario.
All’interno del modello di autosistema di sviluppo motivazionale (SSMMD), svolgono un ruolo molto importante i processi di autosistema (SSPs) quali risorse personali relativamente stabili ovvero ciò rappresenta il senso di responsabilità che gli individui costruiscono nel corso del tempo in risposta a tutte le interazioni messe in atto con il contesto sociale: esse sono organizzate intorno ai bisogni primari delle persone per competenza, autonomia e interdipendenza e sono elementi che permettono di predire alcune tendenze che possono volgere in impegno o meno.
L’SSMMD evidenzia l’importanza della percezione che gli alunni hanno di se stessi, distinguendola però dal concetto dell’impegno (contrariamente a quanto una vasta letteratura afferma, che lega questa all’impegno scolastico, ritenendola una sua dimensione) (Jimerson et al., 2003).
L’SSMMD definisce i processi di autosistema come facilitatori piuttosto che indicatori dell’impegno e a questi aggiunge la valenza del contesto, fautore esso stesso di una buona motivazione all’apprendimento (Connell & Wellborn, 1991; Deci & Ryan, 1985; Stipek, 2002; Weiner, 1990), ad esempio la qualità e la quantità delle collaborazioni tra gli insegnanti e la qualità del rapporto studente-insegnante difatti influenzerebbero le auto-percezioni degli studenti (cioè SSPs).
Uno studio in merito ha mostrato che la qualità delle relazioni insegnante-studente siano positivamente correlate allo sviluppo di un senso di appartenenza a scuola da parte dello studente.
4. La sintesi della ricerca
La sintesi della ricerca che si riporta è il frutto di quattro anni di lavoro sul concetto dell’impegno scolastico degli alunni, e su quello della motivazione ad esso sottesa.
Le somministrazioni sono state effettuate in due diversi momenti dell’anno scolastico: in autunno e in primavera.
Il campione utilizzato, come è già stato detto, è composto da 805 bambini di classi quarta e quinta della scuola primaria e prima e seconda della scuola secondaria di primo grado, egualmente divisi per genere, e di 53 insegnanti. I soggetti provengono da un distretto scolastico periferico di New York, prevalentemente bianchi con solo circa il 5% di studenti di colore; tutti appartengono a famiglie di classe media.
Gli studenti hanno completato i questionari di auto-valutazione, in tre sessioni da 45 minuti. La compilazione del questionario avveniva nelle loro classi man mano che gli item erano letti da un intervistatore, mentre un secondo intervistatore invece fungeva da supporto. Contemporaneamente gli insegnanti compilavano i loro questionari in un’altra stanza.
Riportando le parti più essenziali di un più ampio lavoro, evidenziamo che la prima valutazione riguardava la presenza o meno dell’impegno da parte degli alunni rispetto alle attività proposte: 5 item valutavano lo sforzo, l’attenzione e la determinazione degli studenti e altri 5 ne evidenziavano la loro eventuale mancanza; 6 item valutavano la partecipazione motivata degli studenti durante l’attività didattica e altri 10 ne valutavano invece la condizione opposta, ovvero il rifiuto alla partecipazione.
-Una sottoscala del reattivo prendeva in esame le percezioni che gli studenti  avevano di se stessi (Skinner,Chapman, & Baltes, 1983, 1988; Skinner et al., 1990): 6 item valutano le loro aspettative riguardo le probabilità a disposizione per il loro successo scolastico. Un’altra sottoscala, la Scala dell’Autonomia (Ryan & Connell, 1989), composta da 17 item, è stata utilizzata invece per valutare il motivo per il quale gli studenti si impegnano.
La scala, a sua volta, si divide in quattro sottoscale:
a) l’auto-regolazione esterna: l’alunno si impegna per paura di infrangere le regole;
b) l’auto-regolazione introiettata: l’alunno si impegna per evitare conseguenze negative;
c) l’auto-regolazione identificata: l’alunno si impegna per comprendere meglio;
d) l’auto-regolazione intrinseca: l’alunno si impegna perché seriamente motivato.
Gli studenti, inoltre, hanno riferito sul legame stabilito con i loro insegnanti e sulla natura di questo mentre, riguardo alla valutazione del supporto dato dall’insegnante, gli studenti, da una parte, e gli insegnanti, dall’altra, hanno riferito su elementi importanti quali il loro grado di coinvolgimento e di partecipazione attiva e sull’organizzazione della didattica (Skinner, Belmont, 1993).
In base al confronto dei dati ottenuti da entrambe le fasi della ricerca, si è giunti a questi risultati: il campione testato si presenta piuttosto impegnato; si riportano, parlando di facilitatori, livelli relativamente alti in tutti e tre gli autosistemi calcolati sebbene, il senso di competenza degli alunni risultasse maggiore rispetto a quello dell’interdipendenza, il quale a sua volta, risultava maggiore rispetto al senso di autonomia degli stessi.
È stato rilevato che l’impegno non si presenta in modalità costante: ovvero valutandolo nelle diverse classi, è emerso che, al passaggio tra scuola primaria di primo grado e scuola primaria di secondo grado, esso diminuisce (tanto quanto diminuisce la motivazione sottesa all’apprendimento), fermo restando che fino alle classi 4^ e 5^ si registrano più alti livelli di impegno scolastico da parte degli studenti. Non si riscontrano differenze di genere a riguardo.

5. Dinamiche interne agli indicatori dell’impegno/disimpegno
Una seconda valutazione riguarda le dinamiche interne all’impegno, ovvero gli indicatori sottostanti il concetto stesso di impegno.
Dai risultati ottenuti dalla prima e seconda somministrazione, è emerso che il coinvolgimento emotivo dello studente durante le attività di apprendimento, costituito da stati d’animo come entusiasmo, interesse e piacere, contribuisce a migliorare i livelli di sforzo, attenzione e determinazione durante l’attività didattica. Viceversa, il mancato coinvolgimento e interesse, risultato dalla prima fase della ricerca, contribuisce nel corso del tempo ad un rifiuto dell’impegno da parte dell’alunno, che, a sua volta, può portare a forme di disimpegno e difficoltà manifestate attraverso comportamenti di malessere che denotano noia, ansia e frustrazione.
Da un’ulteriore analisi dei dati è risultato inoltre che sono propro i comportamenti di impegno e applicazione nelle attività di apprendimento che contribuiscono ad un maggiore interesse e coinvolgimento dell’alunno, soprattutto tra la prima e la seconda fase della ricerca.
Al contrario, il disimpegno emerge soprattutto da situazioni di difficoltà che scaturiscono, a loro volta, dalle reazioni che manifestano un mancato coinvolgimento emotivo.
6. Potenziali facilitatori dell’impegno: SSPs  e contesto di sostegno dell’insegnante
Un altro risultato rilevante ai fini della ricerca ci è fornito dalla discussione dei dati emersi dalle tre auto-percezioni esaminate (ovvero il senso di competenza, autonomia e interdipendenza)  intese come potenziali facilitatori dell’impegno.
Dalla prima fase della ricerca, è risultato che sono soprattutto i sensi dell’autonomia, della competenza e dell’interdipendenza, a favorire i miglioramenti dell’impegno nelle attività didattiche attraverso  maggiori sforzi, attenzione e determinazione degli alunni. Invece il mancato coinvolgimento, insieme ad uno scarso interesse è dovuto a livelli relativamente bassi di autonomia ed ad uno scarso autocontrollo, i quali a loro volta contribuiscono ad alimentare sentimenti di noia, ansia e frustrazione negli studenti.
Per quanto riguarda gli insegnanti percepiti positivamente, ossia come figure di supporto, è emerso che l’apprendimento a scuola si migliora proprio grazie al loro modo di porsi, di stare in classe, di creare sempre nuove strategie per trasmettere con un rinnovato interesse le nozioni. Infatti livelli alti di supporto da parte degli insegnanti generano un crescente grado di coinvolgimento emotivo ed interesse nelle attività didattiche e sono da stimolo per maggiori sforzi, attenzione e determinazione da parte degli alunni.
7.  Modelli di processo dei potenziali facilitatori dell’impegno
Un’ulteriore valutazione esamina i modelli di processo dei facilitatori dell’impegno secondo i quali l’effettivo supporto dell’insegnante favorisce cambiamenti dell’impegno,  attraverso la percezione che gli studenti hanno del sostegno fornito loro.
Inizialmente si è cercato di comprendere se i cambiamenti nello sforzo, nella determinazione e nell’attenzione degli studenti nelle attività di apprendimento dipendono dalla percezione che gli stessi hanno del supporto ricevuto dai loro insegnanti. È emerso effettivamente che le conseguenze di un buon sostegno fornito dagli insegnanti sono adeguatamente percepite dagli alunni ed a loro volta si ripercuotono positivamente sul loro impegno e sulla loro determinazione.
Il supporto stesso (connotato positivamente), inoltre contribuisce a migliorare i SSPs, ovvero  il senso dell’autonomia, della competenza e dell’interdipendenza di ogni alunno verso l’insegnante, incrementando sempre di più i livelli di motivazione nelle attività didattiche.

8. Alcune considerazioni
Lo studio preso in esame, guidato da un modello motivazionale, organizza i dati sugli indicatori e sui facilitatori dell’impegno per studiare le dinamiche motivazionali sottese all’impegno.
Il modello di sviluppo, sul quale si basa lo studio, sostiene che i due fattori principali per mezzo dei quali si assiste ai cambiamenti dell’impegno sono il tempo e le differenti età degli alunni - in particolare è emerso che l’impegno era presente soprattutto negli alunni più giovani - (Fredricks et al., 2004; Wigfield et al.,2006).
Esso, inoltre, rivela che una variabile fondamentale nel favorire la perdita dell’impegno è il passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado con ulteriore perdita di motivazione.
Lo studio dei cambiamenti nel corso del tempo suggerisce che questo modello può essere alimentato dalle dinamiche interne al costrutto d’impegno e dalle più grandi dinamiche motivazionali di cui l’impegno costituisce una parte, insieme agli autosistemi e al sostegno dell’insegnante.
Quindi l’indicazione generale di questa ricerca fornisce una fonte di osservazioni sulle dinamiche dell’impegno scolastico degli studenti. Lo studio suggerisce che la partecipazione, la determinazione, gli sforzi e l’attenzione nelle attività di apprendimento dipendono soprattutto dal grado di interesse e coinvolgimento che gli studenti investono nell’iniziare e nel sostenere queste attività. Infatti, sentimenti di noia e frustrazione sono reazioni da cui si evince un mancato adattamento.
Allo stesso tempo, si è dimostrata l’importanza di tutti gli autosistemi (autonomia, competenza e interdipendenza) per promuovere o meno l’impegno nelle attività didattiche.
Il senso di competenza si è dimostrato necessario per sostenere lo sforzo e la determinazione; i sensi di interdipendenza e autonomia sono invece necessari per determinare l’interesse ed il piacere che sostengono la motivazione nello svolgere le attività didattiche.
In accordo con tutti i risultati ottenuti, è emerso che la figura centrale nell’apprendimento a scuola è quella dell’insegnante. Tale figura è in grado di far leva sulle dinamiche interne alle risorse motivazionali nelle attività didattiche, individuando i tipi di supporto adatti a sostenere la competenza, l’autonomia e l’interdipendenza degli alunni. A loro volta, gli autosistemi consentono di migliorare i livelli d’impegno e di favorire l’apprendimento nel lungo termine.
In particolare l’obiettivo della ricerca riportata è stato quello di risolvere una serie di questioni riguardanti il concetto d’impegno: ci si è chiesti se le componenti d’impegno fossero simili o diverse tra loro e come lavorassero insieme nel corso del tempo (Fredricks et al., 2004; Jimerson et al., 2003). Esaminiamo quanto è emerso.
Da una parte, i quattro indicatori d’impegno, sono simili in molti aspetti: sono relativamente stabili durante l’anno scolastico e contemporaneamente accusano delle perdite in alcuni aspetti; dipendono tutti dal supporto fornito dall’insegnante e dalle auto-percezioni degli alunni, in particolare ogni indicatore è promosso o meno dalla presenza o dall’assenza del senso di autonomia.
D’altra parte, ogni componente ha caratteristiche e ruoli distintivi nelle dinamiche interne all’impegno.
In particolare, è risultato che l’applicazione, la partecipazione e la determinazione degli alunni nelle attività didattiche sono un buon indicatore di un’adeguata motivazione all’apprendimento, ma allo stesso tempo è emerso che sono proprio queste dinamiche a diminuire più velocemente durante l’anno scolastico. Questo è un dato molto rilevante perché ciò contribuisce alla manifestazione di disagio, malessere e disimpegno, attraverso emozioni negative come la noia, che possono a loro volta dipendere da un mancato senso di competenza.
È emerso, inoltre, come il coinvolgimento emotivo, l’interesse, l’entusiasmo ed il piacere nelle attività didattiche diminuiscano meno velocemente durante l’anno scolastico e dipendano in modo particolare dal grado di interdipendenza ed autonomia degli alunni e della percezione che gli stessi hanno del supporto fornito dagli insegnanti. Quindi in senso più ampio il coinvolgimento emotivo svolge un ruolo centrale nelle dinamiche motivazionali, in quanto è l’indicatore più forte in grado di alimentare comportamenti costruttivi in classe come una maggiore applicazione e determinazione dell’alunno quindi un buon impegno.
Invece per quanto riguarda le dinamiche alla base del disimpegno e dello scarso coinvolgimento è emerso che queste si alimentano a vicenda. Gli alunni con uno scarso coinvolgimento emotivo, con un mancato interesse ed entusiasmo nelle attività in classe, diminuiscono l’impegno, lo sforzo e la determinazione durante l’anno scolastico.  Al termine della scuola, manifestano reazioni da cui si evince un mancato adattamento, ciò può dipendere dagli autosistemi. In particolare gli studenti con livelli bassi di autonomia ed interdipendenza nei confronti degli insegnanti possono sviluppare maggiormente un senso di noia. Gli alunni con scarso autocontrollo possono sperimentare alti livelli di ansia e quelli con scarsa autonomia possono incrementare i livelli di frustrazione.